Ho vent’anni, sono una donna e ho il diritto di partecipare alla vita politica del mio Paese.
Oggi posso affermare questo, posso pronunciare con orgoglio queste frasi perché a partire dagli inizi del Novecento gruppi di donne, non solo in Italia, ma in tutta Europa e nel mondo, decisero di alzare la voce e di opporsi ad una visione androcentrica della vita: volevano una piena parità di diritti con gli uomini, una parità raggiungibile anche e soprattutto partecipando direttamente alla vita politica del proprio Paese, prendendo decisioni che per lungo (e forse troppo tempo) erano state un appannaggio esclusivamente maschile.
Solamente al termine del secondo conflitto mondiale le donne italiane ottengono il riconoscimento del suffragio universale anche femminile, esercitando il diritto di voto per la prima volta durante le elezioni amministrative del marzo del 1946 e durante il referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno.
Sempre nel marzo del 1946 venne stabilito anche l’elettorato passivo femminile, ovvero la possibilità per le donne italiane di essere elette, la possibilità di partecipare direttamente alla gestione della politica nazionale, per dare un contributo diretto alla ricostruzione dello Stato Italiano.
Furono 21 le deputate elette nella neonata Repubblica Italiana, cinque delle quali entrarono a far parte della commissione incaricata della stesura del testo della Costituzione.
Quest’anno, dunque, ricorrono i settant’anni da questo importante riconoscimento, e ricordare in tale contesto, durante le celebrazioni per il 25 aprile, per la liberazione non è un caso, non è una semplice scelta di comodo.
Per molti anni, infatti, la politica è stata considerata un’attività esclusivamente maschile che non prevedeva in alcun modo il coinvolgimento del genere femminile; e lo stesso principio vale anche per la guerra.
Ma noi sappiamo bene che durante la Seconda Guerra Mondiale anche le nostre valli hanno avuto come protagoniste molte donne, molte giovani ragazze, partigiane che hanno svolto un ruolo determinante nella Resistenza, facendo da staffette tra i nostri boschi, nascondendo partigiani, correndo numerosi rischi, tanto che molte di loro furono arrestate, torturate, deportate in Germania, fucilate e impiccate, proprio come gli uomini, perché la violenza non fa distinzioni di genere.
Il fondamentale contributo svolto dalle partigiane nell’ambito della Resistenza, il loro sacrificio alla causa della Liberazione, portarono, dunque, le donne italiane a reclamare con azioni concrete il riconoscimento del loro diritto di partecipare alla vita politica di un Pese che loro stesse avevano contribuito a liberare dell’occupazione nazi-fascista.
Per le donne italiane questo costituisce il primo passo per l’emancipazione, un percorso lungo e travagliato che ancora oggi non può dirsi pienamente concluso: nell’ambito lavorativo le donne vengono spesso penalizzate rispetto ai colleghi maschi per quanto riguarda assunzioni e stipendi; numerosi sono i casi di femminicidio e di violenza nei confronti delle donne, due piaghe largamente diffuse nel nostro Paese e che ci testimoniano che nell’ottica di molti le donne sono ancora un genere inferiore, da sottomettere, da relegare alla sfera domestica.
Anche in campo politico, a mio parere, siamo molto lontani da una piena emancipazione femminile: oggi in Parlamento siedono 260 donne contro i 664 uomini; dal 1948, anno i cui è entrata in vigore la nostra Costituzione, fino ad oggi solamente tre donne sono state elette alla presidenza della camera dei deputati, nessuna donna ha svolto l’analogo ruolo presso il Senato, nessuna donna è mai stata nominata a capo del Consiglio dei ministri e nessuna donna è stata eletta a capo della Repubblica. Delle venti regioni italiane solamente due sono governate da donne.
Come ci testimonia il modello delle donne italiane del 1946, l’unico modo per vedere riconosciuta una piena parità di diritti con il mondo maschile è agire con azioni ed esempi concreti, quindi, per ricordare il loro esempio voglio rettificare le parole con cui ho aperto questo breve intervento: ho vent’anni, sono una donna e ho il dovere di partecipare alla vita politica del mio paese, ho il dovere di lottare per vedere i miei diritti pienamente riconosciuti.
Francesca Cocchi