Ringrazio le Fiamme Verdi per questa bellissima occasione. Sono onorato non solo sul piano personale, ma a nome della Città per questo invito delle Fiamme Verdi. Questo luogo, come ha detto il Vescovo, è un luogo bellissimo dal punto di vista naturalistico ma è anche un luogo Sacro, nel quale persone giuste hanno donato la propria vita perché noi potessimo vivere una condizione di Libertà e di Democrazia. Questi luoghi hanno sicuramente una dimensione diversa dal consueto, perché qui si sente il respiro di molte anime che ci hanno aiutato a crescere.
Brescia è, lo si ricordava molto bene prima, Medaglia d’Argento al Valore Militare per l’impegno durante il periodo della Resistenza al fascismo e al nazismo; tra le motivazioni di questo riconoscimento così importante c’è proprio il riferimento all’impegno di tanti cittadini bresciani nelle Fiamme Verdi e nella Resistenza in Valcamonica. È un legame fortissimo quello tra la Città di Brescia e i luoghi della Resistenza in Valcamonica. Non è un caso che nelle biografie che brevemente intendo citare ci sono storie di persone diventate amministratori del Comune di Brescia, oppure impegnati attivamente nelle istituzioni cittadine, nell’associazionismo, nella società civile cittadina.
Ovviamente, se pensiamo a com’è nata la famosa “Preghiera del ribelle” e il giornale “il ribelle”, questo legame diventa subito evidente: “il ribelle” nacque dopo la fucilazione di Astolfo Lunardi e di Ermanno Margheriti. In Teresio Olivelli, che aveva conosciuto la Città di Brescia dopo l’internamento, scatta l’esigenza di produrre un foglio culturale, uno strumento che potesse essere diffuso su vasta scala. Pensate che questo foglio clandestino fu stampato da subito in quindicimila copie e venne distribuito nei luoghi della Resistenza, ma soprattutto divenne uno strumento popolare, molto popolare perché contribuì a costruire la cultura democratica.
In quella storia hanno agito figure straordinarie, che hanno segnato la nostra Città: Lionello Levi Sandri, giurista raffinato, non originario di Brescia ma che a Brescia s’impegna, addirittura diventa Consigliere comunale tra il 1946 e il 1950. Andrà a ricoprire cariche importantissime: Presidente del Consiglio di Stato e poi, addirittura Commissario Europeo ante-litteram. Per non parlare, poi, di coloro che aiutarono Teresio Olivelli a lavorare ne “il ribelle”: Laura Bianchini, cittadina bresciana, deputato – una tra le prime donne elette a quella carica, perché erano le primissime elezioni, quelle dell’Assemblea Costituente – e poi riconfermata nel primo Parlamento liberamente eletto. Laura Bianchini fu una delle poche donne elette nell’Assemblea Costituente e aveva lavorato spalla a spalla con Teresio Olivelli. E come non ricordare don Peppino Tedeschi, che tutti noi abbiamo letto, di cui abbiamo conosciuto le straordinarie gesta morali. E ancora Dario Morelli, partigiano, autore di libri, tra i quali spicca il più famoso La montagna non dorme, che racconta della Resistenza proprio su questi monti. E come non ricordare don Giacomo Vender, straordinaria figura di sacerdote. Osservate come agiscono i legami della storia: don Vender, impegnato nella Resistenza antifascista, nell’immediato dopoguerra si occupò delle centinaia di persone, e di famiglie sgomberate a causa della demolizione del quartiere delle Pescherie, nel cuore della Città di Brescia, per fare spazio a quella che diventerà “Piazza della Vittoria” per volontà del Podestà e del fascismo. Quelle persone, centinaia e centinaia, non ebbero nessun ristoro, furono relegate in una zona periferica, ai bordi del Fiume Mella, e rimasero in baracche fino agli anni Cinquanta. Nella stessa baracca dormivano fino a 8-12 persone: don Vender portò l’aiuto e la solidarietà della nostra popolazione, insieme al Pensiero di Cristo. E ricordiamo anora Franco Feroldi, che fu poi Presidente della Camera di Commercio, e ancora Ermes Gatti, che è stato anche un Amministratore del Comune di Brescia. Da dove originava questo legame così profondo, così intenso tra la Città di Brescia e la Valcamonica, in special modo alla Resistenza della Valcamonica? C’erano dei legami fortissimi, biografici, di amicizia, di conoscenze: pensate a Don Antonioli, Parroco di Ponte di Legno, che teneva rapporti costanti con i Padri Filippini dell’Oratorio della Pace, che sono stati il cuore dell’elaborazione intellettuale dell’antifascismo della nostra città.
M’interessa moltissimo fare alcune considerazioni.
Che cosa ci consegna la Resistenza, e cosa ci consegnano queste Figure gigantesche? Figure gigantesche, intendo, se guardiamo alla piccolezza, a volte, dei comportamenti degli uomini delle Istituzioni, anche oggi. Questi giganti avevano due grandi obiettivi: il primo, lo ricordiamo tutti, fu la Liberazione. Tutti noi pensiamo che la guerra di liberazione sia strettamente legata alla liberazione dal fascismo e da coloro che con il fascismo trovarono il modo di occupare il nostro territorio, i nazisti. Mussolini ci ha consegnato non un Paese libero, ma un Paese occupato militarmente, dalla più violenta dittatura del secolo scorso; e allora, la guerra di liberazione fu per prima cosa liberazione dall’oppressione. Tant’è che, pensate, la prima Divisione delle Fiamme Verdi si chiamò “Tito Speri”. La guerra di liberazione, infatti, è spesso associata al Risorgimento, è definita il “secondo Risorgimento”: allora il popolo s’era liberato dall’occupazione austriaca, nel 1943-1945 si doveva liberare dall’occupazione tedesca. Tutti noi capiamo il senso, l’assonanza di questa guerra con il concetto di liberazione: liberarsi dagli oppressori, liberarsi dal tacco militare degli oppressori.
Non è il caso che molte poesie, con bellissime parole, ricordano questa declinazione della guerra di liberazione. Possiamo concludere che quella di liberazione dal nazifascismo è stata una guerra patriottica: c’era un forte senso della patria, così com’era accaduto durante il Risorgimento. Patriottica ma non nazionalista: erano Patrioti perché volevano la Patria Libera, ma non volevano una Patria che a sua volta si gonfiasse di forza per opprimere altri popoli, bensì per lasciare la libertà dei propri cittadini. Pensate a come oggi è travisata la cultura della patria, che diventa e scade nel nazionalismo isolazionista e bellicoso nei confronti degli altri Paesi intorno a noi, in particolare di quelli europei.
Ma c’è un’altra ragione che m’interessa, di più, richiamare qui: non c’era solo una guerra di liberazione dall’oppressore, c’era anche una guerra di liberazione “per” qualcosa, con uno slancio progettuale e positivo. È forse questa seconda accezione quella su cui dobbiamo concentrarci oggi, che siamo molto distratti e diamo per scontati quei risultati e quegli obiettivi raggiunti allora.
Noi troviamo esattamente i valori di questa guerra di liberazione “per” nella “preghiera del ribelle”, nella quale non c’è solo un urlo, una poesia, una preghiera straordinaria di chi si trova a dover imbracciare un’arma per liberarsi da un oppressore – e pensate, per un cristiano, quanto è difficile essere ribelli per amore! – ma c’era anche qualcosa di più: vi erano esattamente indicati degli obiettivi ,“Giustizia e Carità”. Nella Preghiera si usa questa espressione: ci si libera, ma non ci si libera solo perché abbiamo finalmente allontanato l’oppressore, bensì perché dobbiamo costruire una società giusta. MA una società è giusta solo quando non perde la Carità.
Ma quanto è potente, in termini di attualità, questo obiettivo contenuto nella Preghiera del Ribelle? Noi siamo portati a declinare il concetto di giustizia con un lungo elenco di diritti (possibilmente nostri); difficilmente siamo disponibili a declinare quella parte che Olivelli chiamava “Carità” e che, nel lascito più straordinario della Resistenza, la Costituzione, si chiama “Solidarietà”. Nella Carta Costituzionale, che è il lascito più alto che viene dato dalla Resistenza al nostro Paese, si parla moltissimo di Diritti – fortunatamente, dopo una lunga stagione dove i Diritti erano stati concultati – ma si parla di “Doveri inderogabili di solidarietà”. Se ci pensate, quest’eredità è un’eredità ancora incompiuta, tant’è che molte volte si è detto che la guerra di Liberazione – la Resistenza – non ci ha consegnato una Costituzione compiuta, né un Paese democraticamente compiuto ma piuttosto un obiettivo di Paese, un’idea di Paese, un impegno costante per avere quel Paese caratterizzato dalla Giustizia e dalla Carità.
Ancora due brevi considerazioni: si fa riferimento ad un altro concetto importantissimo, che è l’idea che la guerra di Liberazione sia stata una guerra patriottica, ma non nazionalista. La seconda guerra mondiale esplose, come la prima, per colpa dei nazionalismi, non per colpa dei patrioti. I patrioti sanno quale sia il valore della Pace, e non è un caso che nella “Preghiera del ribelle” e negli obiettivi della Resistenza c’è quello di conseguire la Pace, non la guerra, non l’occupazione militare di altri Paesi, non il gonfiarsi bellicoso dei nazionalismi che avevano portato alla prima e alla seconda guerra mondiale. Al contrario, la Resistenza ha costruito una lunga stagione di pace, di cooperazione, di collaborazione, tra le nazioni. Prima è stato detto benissimo: la Resistenza ci consegna l’unità del Popolo italiano. Dopo la profonda divisione del fascismo, la Resistenza ce lo consegna come un popolo che ritrova una sintesi tra culture politiche, tra diverse visioni religiose e trova un punto di raccordo dentro il momento che ci riporta alla democrazia, alle Istituzioni democratiche, alla Democrazia Parlamentare. Non è un caso che la democrazia che ci hanno consegnato i nostri Padri costituenti sia una Democrazia dei “pesi e dei contrappesi”; è una democrazia complessa, che sa che nessuno può governare da solo; pensate qual è l’importanza rispetto alle parole spropositate che oggi ascoltiamo o leggiamo da parte di “superuomini” che pensano di incarnare “di persona” la sovranità popolare. La sovranità popolare è dentro la concezione della guerra di Liberazione come un contenitore democratico fatto di pesi e di contrappesi, proprio per impedire che ciò che abbiamo conosciuto come Europei non si ripeta più.
Non c’è, dunque, solo la guerra di liberazione dall’oppressore nemico, che ci anche accomunato al Risorgimento; c’è anche una grandissima guerra di liberazione in termini propositivi, che è anche una guerra di liberazione dall’inerzia e, a volte, da un’attitudine al piegarsi passivamente del popolo. La “Preghiera del Ribelle” fa proprio riferimento a questo: al fatto che molti non riuscirono a comprendere il pericolo che il fascismo portava con sé per la libertà delle persone, per l’incolumità delle persone e, poi, per evitare quel baratro che è stato il secondo conflitto mondiale. Se ci pensiamo, abbiamo davanti degli esempi straordinari. Qualcuno dice che dovremmo tornare a metterci a cavalcioni dei giganti che ci hanno preceduti, perché di questa statura noi non siamo in grado di essere; ma abbiamo un’opportunità: siccome quei giganti sono ancora insieme a noi, sono giganti nello spirito e giganti nella presenza – perché noi pensiamo che chi se ne è andato, non s’è né andato per sempre, ma è e permane tra di noi (lo sentiamo bene quando muore una persona a noi vicina, che ci rimane a fianco) – possiamo ancora ascoltarli e seguirne l’esempio.
Io penso che questo sforzo lo dobbiamo in questo luogo Sacro, in questo bellissimo contesto, proprio per garantire ai nostri figli quei Valori che questi Grandi ci hanno consegnato.
(trascrizione di Luigi Mastaglia dalla registrazione audio-video)