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Il discorso di Alberto Manzoni (FF.VV.) in Piazza Loggia il 25 aprile 2015

Alberto Manzoni pronuncia il suo discorso
Alberto Manzoni il 25 aprile 2015

Care amiche e cari amici,

ringrazio per l’invito le Autorità ma confesso di provare difficoltà a parlare davanti a voi, tra cui ci sono tante persone dalle quali avrei solo da imparare.

Vorrei centrare il mio discorso su tre sentimenti che mi hanno animato e che credo siano rappresentativi dei sentimenti condivisi di tanti giovani, nati ben dopo la Liberazione e cresciuti ascoltando la lezione dei resistenti e dei costituenti.

Il primo sentimento che provo è la gratitudine. Il secondo, di fronte all’esempio e al sacrifico di tanti, il senso di inadeguatezza. Infine, figlio dei sentimenti precedenti, il desiderio di fare la mia parte.

Sono nato a quarant’anni dalla Liberazione, sono cresciuto in un paese democratico, dove ho studiato e mi sono formato, ho potuto ricevere un’educazione libera e scegliere quali idee sostenere e praticarle e manifestarle pubblicamente. Posso incontrare e frequentare le persone che amo, senza distinzione di razza o religione. Non ho mai dovuto imbracciare un’arma e non ho sperimentato sulla mia pelle che cosa sia la guerra.

Oggi vorrei dunque anzitutto dire Grazie alla generazione dei liberatori.

Ancor prima di dare un volto alle persone che hanno fatto la Resistenza, voi, partigiane e partigiani caduti o superstiti, grandi costituenti o persone semplici, siete stati sempre un punto di riferimento e un esempio di fedeltà a valori alti. Il rischio di fare di voi un riferimento leggendario, però, potrebbe sminuire la vostra scelta, relegandola al mito di persone straordinarie, fuori dal comune, irripetibili. Potrebbe rendervi inarrivabili e sdoganare il pensiero che persone come voi non ci saranno più. Lo sentirei più come un alibi per la mia vita futura che un attestato di sincera stima per voi.

Conoscendo le storie di resistenti, di persone vere, e non leggende, ho compreso meglio la ancor più grande forza derivata dalle vostre scelte. Perché è ancora più vicina a me, più quotidiana, più semplice. Il vostro coraggio assume le forme della tenacia, della caparbietà, ma anche dell’umana paura, della sofferenza, del sacrificio costato caro. Se penso a voi, sulle montagne della nostra Provincia, vi sento amici, fratelli maggiori, padri e madri. Conoscere le vostre storie di umili maestri, che sognavate la rinascita, la ricostruzione e l’educazione nell’Italia liberata, le vostre storie di uomini e donne semplici innamorati dell’Italia e della libertà, nella vostra forza ma anche nella vostra fragilità umana, tutto questo restituisce l’idea di persone vere, e non di leggenda.

La vostra ferma adesione a un ideale, capace di compromettere chi lo custodisce, anche a costo della vita, è un insegnamento che deve rimanermi nella mente e vincere le mie paure. Rileggere la frase di padre Bevilacqua, per il quale “le idee valgono non per ciò che rendono, ma per ciò che costano”, mi fa pensare “Ma erano tempi ben più cupi dei nostri”. Eppure, oggi come ieri, la violenza e l’ingiustizia cercano di insinuarsi nel mondo che faticosamente cerchiamo di mantenere un luogo di pace, e oggi non meno di ieri la strada da fare è tanta, e ce n’è per tutti.

Mi avete insegnato che avere idee diverse non è un ostacolo, ma il fondamento della costruzione di un paese che tutela le convinzioni di ognuno; e che provenire da luoghi diversi, avere idee politiche anche opposte ma desiderose di perseguire il bene comune, avere o non avere una fede religiosa, sono condizioni che non possono mai giustificare l’autoritarismo, la violenza, la prevaricazione. E la Costituzione che, seduti insieme all’assemblea Costituente, avete scritto, è un dono su cui deve reggersi la vita democratica dell’Italia. 70 anni fa come oggi, e come domani.

La Costituzione che avete scritto è profonda, esigente. Prefigura una democrazia che ancora oggi va costruita e alimentata. Non vi siete limitati a dire quello che l’Italia non sarebbe mai dovuta essere; avete voluto dare precise linee, proporre valori positivi, mettere tutti non sullo stesso gradino, ma innalzare i deboli, i poveri, i malati, su un gradino che li portasse ad avere i loro occhi alla stessa altezza degli occhi dei più forti, agiati, sani. Avete tracciato una strada che ci ricorda che cosa sostenere e che cosa ripudiare.

C’è ancora bisogno del vostro esempio? Credo proprio di sì. La scelta di resistenza che avete compiuto voi è passata nelle nostre, nelle mie mani e ora tocca anche a me fare la mia parte.

Anzitutto a realizzare il grande sogno che voi avete messo nero su bianco nella Costituzione e vi siete messi con Passione a praticare nella vita. L’idea che avete trasmesso è limpida: un paese solidale e operoso, attento alle difficoltà e custode delle bellezze che ci sono state affidate. Come scrisse Teresio Olivelli, “un’Italia generosa e severa”. È un abbinamento che mi ha sempre colpito. Generosa, cioè attenta al dare senza contare, al garantire la dignità a tutti, al dare di più. Severa, cioè esigente, onesta, che non fa sconti, che non cerca il compromesso accondiscendente e, anzi, lo condanna senza esitazione.

C’è bisogno di voi per ricordarci che dobbiamo resistere anche oggi. Se il 25 aprile è finita una fase, la resistenza, invece, continua. Come il male si è banalmente diffuso, addormentando le coscienze, anche oggi può ripresentarsi. Forse con forme più subdole e meno evidenti, ma con uguale effetto: il Me ne frego fascista, contrapposto all’I care di don Milani.

Penso a tante difficoltà che il nostro tempo ci propone, e delle quali possiamo disinteressarci (per lo meno finché non intaccano le nostre sicurezze) o farcene carico, prenderle a cuore. Penso alla povertà di tante famiglie e di tanti miei coetanei, nel dramma di non poter lavorare; all’emarginazione e alla solitudine, alle tante persone disagiate che non vediamo o scegliamo di non vedere; al ripresentarsi di forme di vandalismo, incuria del patrimonio comune, o, peggio, di violenza e intolleranza; all’inquinamento ambientale, sul quale per troppi decenni si è speculato e ancora oggi si fatica a invertire la tendenza; all’inquinamento della concordia sociale, al brutale scontro che non ci fa più guardare negli occhi.

Anche a noi la forza della ribellione. A me la scelta. Se ascoltare le forze che anche dentro di me spingono all’ottenimento del mio interesse, del mio tornaconto, del mio affermarmi, della mia pretesa di avere senza dare, del vantare diritti senza ricordarmi che ho anche dei doveri. O se resistere a questa tentazione, e vivere la mia Resistenza al fascismo dell’idea unica, dell’egocentrismo ad ogni livello, del pretendere senza fare, del cedere all’alibi del “tanto non cambia niente” o del “sono tutti uguali”.

Vorrei che ci accompagnaste ancora un po’, amati resistenti, ribelli. E che, anche se per i più è solo il ricordo e non più la presenza fisica, voi poteste percorrerli insieme a noi quei sentieri della Resistenza. E che passando ancora alla Capanna Tita Secchi, al Sonclino o alla chiesetta del Mortirolo, o dovunque sulle montagne un uomo sia caduto per la libertà, dalla Strada salisse sempre la voce ribelle e innamorata che vi ha animato.

Grazie.