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FF.VV. a Malga Campelli (Gianico) – 26 giugno 2016

I FATTI STORICI

Il 22 giugno 1944 un gruppo delle Fiamme Verdi (C 14) al comando di Franco Ceriani (Paolo), che operava nella zona del Bassinale, si è scontrato con una pattuglia di soldati tedeschi (che avevano fatto razzia di cibo e di animali) costringendoli alla fuga. Prevedendo un rastrellamento, i partigiani decisero di spostarsi in Val di Fra, che era una zona ritenuta più sicura. Tre partigiani del gruppo decisero di passare la notte a Malga Campelli, ospitati da Antonio Cotti Cottini, un capraio che aveva trovato nella zona un terreno ideale per il pascolo dei suoi animali. Ma, all’alba del 24 giugno 1944, viene effettuato un rastrellamento da parte dei militi della Brigata Tagliamento, alla caccia dei gruppi partigiani che operavano sulle montagne e la cui presenza era stata segnalata dalla delazione di una donna.

I militi, favoriti dalla nebbia, raggiungono la cascina di Malga Campelli, cogliendo di sorpresa i partigiani, il Cotti Cottini e un ragazzo quattordicenne che lo aiutava nel suo lavoro. Mentre Antonio Lorenzetti riusciva a raggiungere il bosco e a scomparire tra i cespugli, Marioli Giacomo (Trot) viene abbattuto con una raffica proprio sulla porta della cascina, Pedersoli Battista (Travaì) di Gianico, Cotti Cottini Antonio (Maiahec) di Piazze e Ottelli Zumelli Giacomo (il giovane aiutante di Antonio), catturati, venivano condotti in Bassinale dove i primi due crudelmente torturati furono fucilati ed il ragazzo che aveva assistito a tutta la scena, venne successivamente trasferito a Brescia in carcere.

Nel 72º anniversario di questi gravi avvenimenti, l’Associazione Fiamme Verdi e l’ANPI di Vallecamonica, i Comuni di Gianico, di Artogne, di Piancamuno e di Esine e di Darfo Boario Terme, in collaborazione con le Associazioni dei Combattenti e Reduci e con i Gruppi Alpini, come ogni anno, hanno organizzato un incontro presso la cascina di Campelli incendiata dai fascisti nel 1944 e ricostruita nel 1954 e sulla quale nel 1974 sarà scoperta una lapide a ricordo dei tre martiri, come testimonianza del loro sacrificio per le generazioni future.

IL RESOCONTO DELLA GIORNATA

Insieme a Roberto Ravelli Damioli (Fiamme Verdi), Luca Santi (ANPI), Emilio Antonioli (sindaco di Gianico),  Andreoli (Assessore di Artogne), Donina (Assessore di Esine) e Cotti (Assessore di Piancamuno), il cappellano militare mons. Angelo Bassi, i labari delle Associazioni e del Comune di Gianico, la bandiera della Brigata FF.VV. “A. Lorenzetti” sono presenti un gruppo di affezionati che, nonostante le pessime previsioni del tempo, hanno deciso di partecipare alla cerimonia in ricordo dei tre martiri di Campelli e di tutti i caduti nella guerra di Liberazione.

La S. Messa è celebrata da Monsignor Angelo Bassi che richiama l’attenzione dei presenti sull’importanza della giornata con queste parole: “… Abbiamo accolto l’invito del Signore a celebrare questa eucarestia ma anche l’invito delle associazioni e delle amministrazioni comunali che ogni anno ricordano anche con la celebrazione della Santa Messa, il sacrificio di questi nostri giovani fratelli che hanno donato la loro vita per donarci la libertà … “  Nell’Omelia, Don Angelo ha detto, tra l’altro, “… Le letture che abbiamo appena sentito sono molto belle e riguardano un pò anche i nostri fratelli, i partigiani che hanno combattuto e sono caduti su queste nostre montagne. Gesù che sale a Gerusalemme vuol dire che Gesù sale per offrire la sua vita sulla croce, per poterci liberare, per far sì che noi potessimo avere la libertà. I nostri fratelli, Giacomo, Antonio, Gian Battista, hanno salito, proprio anche letteralmente, il monte, per arrivare poi alla croce quale è stata, per fare dono di sé stessi, sacrificandosi con amore. Hanno abbandonato gli affetti, e per amore hanno abbracciato una vita di sacrifici, per amore della libertà non solo per la loro libertà ma per quella che ci hanno donato. Se hanno sacrificato la loro vita è stato per poter offrire ai propri figli, nipoti, pronipoti, a noi del 2016, quella libertà che loro sognavano e nella quale credevano. Loro hanno compiuto quello che il Signore chiede a tutti noi, agire per amore, impegnarsi per gli altri, trovare la forza per donare a tutti libertà, pace e serenità … Un impegno che significa operare per il bene della comunità.”

Luca Santi, rappresentante dell’ANPI di Vallecamonica. Buongiorno e un benvenuto a voi tutti. Vi voglio ringraziare a nome delle associazioni ANPI e Fiamme Verdi per aver voluto partecipare a questa cerimonia. È un ringraziamento che va alle amministrazioni comunali alle associazioni presenti e soprattutto ai gruppi alpini che non mancano mai. Questo è il segno che la comunità di Gianico e le comunità dei paesi limitrofi, vogliono continuare a ricordare, come da tanti anni a questa parte, Giacomo, Antonio e Gian Battista, insieme a loro vogliamo ricordare tutti i caduti della Resistenza e tutti coloro che hanno sacrificato parte della loro esistenza per combattere il nazi fascismo, ed il modo migliore credo sia quello di ascoltare le note della Brava trombettista Ravelli Miriam e cantare insieme “Bella Ciao”. La parola ora al sindaco di Gianico.

Emilio Antonioli,  sindaco di Gianico. Un caloroso saluto tutti voi che avete voluto essere qui a commemorare una parte di storia del nostro paese. Un cordiale saluto all’Associazione Fiamme Verdi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, all’Associazione Combattenti e Reduci di a tutti i Gruppi Alpini che sono qui convenuti e rappresentati con il loro gagliardetti, un saluto alle autorità dei comuni di Esine, di Piancamuno e di Artogne, che hanno voluto essere con noi per ricordare i nostri Partigiani caduti.

Consentitemi, tre brevi riflessioni.

La prima, come ho avuto modo di ricordare alla festa degli Alpini, le ricorrenze hanno, per loro natura, un’importanza speciale, sono parte integrante della nostra vita, perché attraverso l’esempio, la parola, il ricordo, rendiamo omaggio a chi è stato prima di noi protagonista il cui ricordo tramandiamo attraverso la tradizione orale e scritta, raccontiamo fatti, accadimenti ed emozioni che hanno formato la radice della nostra società ed anche a dispetto dei numeri e delle adesioni, la ricorrenza assume fisionomia di proposta e solo così, anno dopo anno possiamo tramandare quei valori che ci hanno permesso di costruire una società in cui i cittadini si possono riconoscere. Sappiamo che la memoria umana è fragile, spesso ricordiamo il male subito ma non il bene ricevuto. In verità la ricorrenza è molto di più profondo, molto di più complesso, perché il nostro sguardo non si rivolge solo al passato ma tenta di interpretare correttamente i fatti storici per capire il presente e per costruire il futuro. E ci sono pezzi di storia per i quali l’oblio non è concesso, non è ammesso dimenticare quegli uomini morti “da uomini” per lasciare a noi la libertà che adesso godiamo.

Seconda considerazione, per ricordare bisogna conoscere, e la lettura degli eventi e soprattutto di quelli cruenti, va fatta con attenzione per conoscerne i dettagli, perché spesso è proprio nei dettagli che si cela la verità. E la storia recita: “ … il 22 giugno del 1944 …” (Segue il resoconto dei fatti accaduti: lo scontro dei tedeschi con il Gruppo C14 delle Fiamme Verdi, il rastrellamento, l’assalto alla cascina di Campelli, l’assassinio di Giacomo Marioli e la cattura degli altri, fino alla loro fucilazione avvenuta sul Bassinale – n.d.r.-)

Il Sindaco prosegue poi ricordando un episodio, che pare ricalchi, seppure in modo romanzato, la drammatica esecuzione del capraio, tratto dal libro “Il tiro al Piccione” Einaudi pagg. 189 – 190, un racconto autobiografico, di Giose Rimanelli (milite della Tagliamento), riferito al periodo immediatamente precedente al trasferimento del suo plotone di Legionari verso il Mortirolo, nel quale si legge testualmente:

“Le capre si erano raccolte in gruppo sulla montagna e ci guardavano con occhi dubbiosi. Le loro groppe tremavano. Il capraio saltellava giù per il sentiero … Ai fianchi c’erano le abetaie e spacchi di cielo chiaro nelle insenature dei monti. Voltandomi indietro vedevo che il gruppo delle capre ci seguiva a distanza e innanzi a tutte c’era il becco con la testa bassa e le grandi corna nodose. Il capraio, adesso, non piangeva più e forse si era rassicurato. Mazzoni aspettò che avanzasse ancora di cinque passi. Poi gli sparò alle spalle tutto il caricatore del mitra. Il capraio ruzzolò per il sentiero come una palla, arenandosi infine … Le capre scendevano sempre più lentamente verso il loro padrone morto. Poi si raccolsero in cerchio intorno al capraio e presero ad annusargli il viso. Qualcuna ci seguiva ancora con i suoi occhi liquidi e spaventati …”

Il sindaco ricorda anche la fuga di Antonio Lorenzetti, poco prima dell’irruzione dei militi nella cascina Campelli, miracolosamente sfuggito all’eccidio. Ricorda anche la sua cattura, dopo un’azione di sabotaggio nel territorio del comune di Gianico, poco più di un mese dopo, trascinato a Darfo con una gamba spezzata. Verrà seviziato ed offerto al ludibrio dei presenti, quindi barbaramente fucilato il 28 Luglio del 1944, aveva solo 19 anni. A lui sarà intitolata una via nei pressi del luogo della fucilazione ed il suo nome verrà dato alla Brigata Antonio Lorenzetti delle Fiamme Verdi che opererà nella bassa valle fino alla Liberazione.

Il Sindaco Emilio Antonioli procede con un’ultima considerazione: quale insegnamento trarre da queste drammatiche ma eroiche vicende e nel contempo contestualizzarle nella nostra vita attuale? In un Paese dove la ripresa economica stenta a farsi sentire nonostante gli immani sforzi dell’Italia e dell’Europa sull’integrazione del reddito e delle assunzioni spinte attraverso la rimodulazione della leva fiscale e nel contempo un grande impegno per un cambiamento nella gestione amministrativa del nostro paese, a cui certamente si deve dare continuità ma, deve essere chiaro a tutti che l’impegno per il rilancio del nostro Paese, per ridare a tutti la effettiva libertà che si concretizza con una maggiore offerta di lavoro, passa attraverso l’impegno di ogni singolo cittadino. Non è una cosa che riguarda solo gli altri, deve esserci una responsabilità civile comune, di tutti noi. A nessuno viene chiesto di donare la vita ma di essere solo cittadini responsabili. Ciò per dare valore al sacrificio di Giacomo, di Antonio, di Gian Battista. Viva la Resistenza. Viva l’Italia.

 

Malga Campelli Gianico 26 06 2016

Registrazione e trascrizione a cura di Luigi Mastaglia

 

N.B. – di seguito si riporta la preziosa testimonianza di Giacomo Otelli Zumelli (aiutante di Antonio Cotti Cottini). Questa nota, fortunosamente ritrovata tra le carte dell’Associazione “Fiamme Verdi” di Vallecamonica, ci aiuta a ricostruire con precisione quanto avvenuto alla Malga Campelli il 24 giugno 1944.

“Questa è la testimonianza di un ragazzo che nell’anno 1944 aveva 14 anni, di nome Otelli Zumelli Giacomo, orfano di papà viveva con la mamma e due sorelle anch’esse molto giovani. Possedevano una quindicina di capre e lavoravano la campagna che a questa altitudine richiede un duro e costante lavoro per un raccolto povero e incerto.

Era il momento sicuramente più difficile dall’inizio della guerra; in montagna si erano rifugiati i partigiani e nei paesi a valle si erano stabiliti fascisti e tedeschi. Con l’arrivo della primavera si dovevano portare gli animali all’alpeggio e un mio compaesano di nome Antonio, padre di quattro figli tutti in tenera età, avendo chiesto di essere esonerato dalle armi, in attesa di questo permesso, alle dipendenze di un datore di lavoro, si trovava anche lui con me in località Campelli, Malga del comune di Gianico.

Durante la notte del 24 giugno 1944 erano sopraggiunti i partigiani a chiedere ospitalità; portavano con sé carne da cucinare e il mattino seguente sarebbero partiti per un’altra destinazione.

Anche tedeschi e fascisti erano abituali a questo tipo di richiesta e noi non potevamo dire di no a nessuno.

Dunque quel mattino erano circa le 9,30 quando ci apprestavamo a cucinare un piatto caldo, per poi uscire e condurre le bestie al pascolo; fuori c’era una nebbia fittissima, quando uno dei partigiani presenti, nativo di Esine, aprì la porta della cascina per guardarsi intorno, si trovò faccia a faccia con fascisti e tedeschi. Il cane di proprietà di Antonio Cotti Cottini, non abbaiò quel mattino come di consueto, come era solito fare quando vedeva forestieri salire verso la cascina, perché probabilmente si trovava lontano dalla cascina stessa. Così, l’assenza del cane e la nebbia favorì fascisti e tedeschi, nonostante i partigiani stessero molto in guardia perché erano a conoscenza di rastrellamenti ma non pensavano avvenissero proprio su quella montagna. Il partigiano di Esine vistosi in trappola, tentò la fuga e fu ucciso all’istante; il Lorenzetti riuscì a scappare, ma rimarrà ucciso sempre dai fascisti due mesi dopo.

Rimanemmo io, Antonio Cotti Cottini, Pedersoli Giovan Battista ed altri tre forestieri. Iniziò così il nostro calvario, salendo verso la Malga di Bassinale. Per me siccome ero molto giovane, mi riservarono calci e frustate, mentre gli altri li insultavano sputando loro addosso, li picchiavano con il calcio delle armi.

Pedersoli li implorava di non fare del male ad Antonio Cotti Cottini, perché non era partigiano ed era padre di quattro figli. Ma essi ancor più accaniti, continuarono per tutto il viaggio. Arrivati che fummo in località Bassinale, li processarono e li torturarono davanti ai miei occhi, fino a che furono completamente sfiniti, poi li misero al muro della cascina e li fucilarono. Il primo a cadere a terra a seguito di un colpo al cuore ed uno alla testa fu Antonio Cotti Cottini, seguito subito dal Pedersoli Giovan Battista. Per noi iniziò il cammino ignoto che ci avrebbe portati a Brescia e lungo la strada fascisti e tedeschi portavano con sé altri prigionieri tra cui un frate che questuava per la sua comunità rubandogli quanto aveva appresso.

Arrivato stanco sfinito Brescia mi misero in una stanza che fu la mia prigione. Fino a quel momento non sapevo nemmeno che esistessero le carceri, ero molto giovane, cresciuto in una famiglia riservata e povera e le miserie della vita non mi avevano ancora toccato. In carcere rimasi tre giorni e per tre giorni mi maltrattarono continuamente, pensando sapessi dove erano nascosti altri partigiani, ma ben per me non ne ero a conoscenza. Così per penitenza il cibo era scarso, un poco di brodo e pane secco. Degli amici sfortunati che erano con me non seppi più nulla. Nel frattempo la mia famiglia preoccupata di quanto mi era successo, si rivolse all’autorità del Comune per avere informazioni e gli fu detto che probabilmente mi trovavo a Brescia. Si attivarono due mie zie e vennero a Brescia con il treno per visitarmi, ma non fu loro concesso. Ottennero di sapere che mi trovavo lì e che stavo fortunatamente, bene di salute. Esse ripresero il treno a Brescia per far ritorno a casa ad Artogne e sullo stesso treno c’ero anch’io. Infatti i fascisti all’ultimo momento mi avevano accompagnato alla stazione di Brescia ordinando al macchinista del treno di farmi scendere a Pian d’Artogne. Così nello scendere mi ritrovai con le mie zie; ci abbracciammo e piangemmo a lungo e guardando in alto perché avevo visto il mio paesino di Piazze fui grato al Signore per come mi aveva protetto e per la possibilità di ritornarci, perché nei giorni della sofferenza avevo pensato di non vederlo più con i miei occhi.

Firmato Giacomo Otelli Zumelli

Corona

1 Corona
Il Sindaco di Gianico

Labari Gagliardetti Bandiera Br Lorenzetti

Luca ANPI

Omelia Mons Bassi