Sabato 22 Aprile nel 72° anniversario della Liberazione, l’amministrazione comunale di Breno, in collaborazione con ANPI, Fiamme Verdi e Museo della Resistenza ha organizzato una manifestazione per celebrare il 25 aprile.
La manifestazione si è svolta secondo questo programma: alle 10 il ritrovo presso il monumento alla Resistenza nel piazzale antistante il palazzo BIM. Dopo l’alza bandiera e l’esecuzione dell’Inno d’Italia interpretato dalla banda musicale di Breno, la posa e la benedizione di una corona di alloro alla base del monumento in ricordo di tutti i caduti della Resistenza, si è formato un corteo per le vie della cittadina, verso Piazza della Vittoria ove c’è stato il posizionamento della corona e la benedizione, in ricordo dei caduti di tutte le guerre.
A ciò è seguito il discorso commemorativo tenuto dal sindaco Sandro Farisoglio, che ha sottolineato l’importanza della celebrazione che ricorda la liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione del nostro paese da parte delle forze naziste. Ha sottolineato i grandi sacrifici della popolazione e dei combattenti che, anche a prezzo della loro vita hanno ridato alle popolazioni del nostro Paese la libertà e la pace. Ha ricordato i martiri Cefalonia uccisi per non aver consegnato le armi al nemico e le migliaia di militari italiani, arrestati e tradotti nei campi di concentramento che con il loro sacrificio ed il rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò hanno di fatto sostenuto la Resistenza, quella che ha visto migliaia di giovani impegnati per 20 lunghi mesi a combattere sulle nostre montagne per donarci la Libertà, la Costituzione, la pace. Sandro Farisoglio ha terminato il suo intervento dicendo:
Oggi abbiamo voluto cogliere un altro invito, è stata organizzata una rappresentazione teatrale all’interno del rifugio antiaereo realizzato sotto la collina del castello. Abbiamo quindi un simbolo inequivocabile del passaggio della guerra nel nostro territorio, anche se, da quanto ho potuto apprendere, il rifugio non è stato utilizzato tantissimo e non è forse neanche stato ultimato secondo il piano di costruzione; ma qualche volta è stato utilizzato. Ho avuto l’occasione, in questi anni, di raccogliere le confidenze di persone che hanno dovuto rinchiudersi in questo rifugio, e vi assicuro, che dalle loro parole, dai sentimenti che facevano trasparire e dall’espressione dei loro sguardi, si capiva quale timore avessero provato nel trovarsi al buio, rinchiusi, senza sapere cosa stesse succedendo fuori. Ho provato a immaginare come poteva essere il nostro paese in quei giorni e in questo mi ha aiutato anche un piccolo volumetto che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi, grazie anche alla professoressa Garlandi, che racchiude la raccolta delle lettere di suo zio Antonio (Tunì) catturato dai fascisti, torturato e fucilato nel cimitero di Breno. Grazie a questi frammenti e racconti ho potuto immaginare come si svolgesse la vita in quei giorni nel nostro paese. Oggi sembra tutto irreale, impossibile e mi auguro che queste cose non possono più accadere. Servono senz’altro a farci capire, come non cadere negli stessi errori. Quel 28 aprile, va detto che a Breno il giorno vero della liberazione è avvenuto nei fatti dopo il 25, quando le ultime colonne tedesche e fasciste avevano smobilitato sotto la pressione dei combattenti Partigiani scendevano da Monte Piano e dal Cerreto, voglio pensare che la festa sia stata celebrata in una giornata splendida come quella odierna. Ora l’invito è a partecipare alla rappresentazione teatrale che si terrà tra poco nel rifugio antiaereo. Ringrazio tutti per la partecipazione, la Banda che ha fino ad ora accompagnato la manifestazione ed un particolare ringraziamento va al Gruppo Teatro Oratorio di Bienno che ci presenterà, dentro al rifugio, lo spettacolo – Lettera al Futuro – Shoah, Resistenza e Liberazione.
Buon 25 Aprile a tutti.
lo spettacolo teatrale, gratuito, è stato realizzato con la regia di Bibi Bertelli per il CCTC, verrà replicato anche nel Pomeriggio in quanto la partecipazione è riservata, per motivi di spazio, a soli 50 spettatori per volta.
Lettera al Futuro – Shoah, Resistenza, Liberazione.
Veniamo accolti nel rifugio, nel buio più profondo, ad un tratto il suono straziante di una sirena, un allarme … sprazzi di luce che vanno e vengono, poi, illuminati da una tenue luce i ragazzi attori del GTOB, vestiti come se dovessero fare un lungo viaggio, muniti di valige di cartone, insieme recitano:
La vita di un uomo può accendersi e spegnersi in un battibaleno, perdendosi come una goccia nel mare immenso della storia, ma l’unica cosa che può fare in modo che quella goccia, quella piccolissima briciola di polvere, non sia stata vana, è la nostra memoria.
Un perentorio invito a procedere, fatto da due giovani in divisa SS muniti di fischietto per attirare l’attenzione ai loro ordini. Si procede lentamente, nel ventre della montagna nel buio quasi completo. Dopo ogni richiamo del fischietto una SS pronuncia il nome di un lager: Bergen-Belsen, Theresienstadt, Mauthausen-Gusen, Ausckwitz, Buchenwald, Dachau, Flosseburg, Treblinka e altri ancora. I due giovani in divisa davanti a noi con forte rimbombo di passo militare ci conducono avanti fino ad un antro nel quale quattro attori ci fanno partecipi di alcune letture di cui si riportano alcuni brani:
Ribelli, così ci chiamano, così siamo, così ci vogliamo. Il loro disprezzo è la nostra esaltazione, … la loro sospettosa complice viltà aumenta la nostra amarezza. Siamo ribelli, la nostra è anzitutto una rivolta morale. Di questo parla – Il Ribelle – la discussione è aperta, la parola a chi la sa prendere. Il Ribelle non vuole essere un giornale di partito, è un foglio per i giovani, non ha riguardi per nessuno, vuole essere fermento di una libera, sana, profonda cultura … Chi può e vuole, spinga e segua oltre con l’idea e con le armi. Nelle officine e nelle biblioteche a questa nuova città tendiamo con tutte le forze, più libera, più giusta, più solidale, più cristiana, per essa lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita da altri. Non vi sono liberatori! Ma uomini che si liberano! Lottiamo per la più vasta solidarietà degli spiriti e del lavoro, nei popoli e fra i popoli. Perché siamo consapevoli che la vitalità d’Italia, risiede nella nostra costanza, nella nostra volontà di combattimento, di resurrezione, nel nostro amore. Lottiamo perché sentiamo in noi nascere il dolore e la speranza del popolo italiano … Sentiamo di essere l’avanguardia dello spirito e delle armi, l’esercito reale della nazione e dell’umanità.
Proseguiamo dietro alle SS verso un altro quadro sempre accompagnati da un sottofondo musicale che suscita strane sensazioni. Una ragazza:
Sono nata nel 1920, … ho frequentato la scuola fino alla quarta elementare perché allora i mezzi finanziari erano scarsi e solo i più ricchi potevano continuare gli studi. Ho cominciato a lavorare subito dopo come cameriera Breno, poi per motivi salariali ho dovuto trasferirmi, lavoravo soprattutto per aiutare la famiglia dato che mio padre era disoccupato a causa del suo antifascismo. Non seppi come Don Carlo Comensoli mi conoscesse, vivevo a Berzo Inferiore, mi fece chiamare mandando a dire che aveva bisogno di me. Dapprincipio pensai a qualche offerta di lavoro e comunque avevo sempre avuto fiducia in lui. Quando giunsi in casa sua mi disse, senza tanti giri, che la situazione in Italia e in tutto il resto del mondo era grave, i fascisti repubblichini e i tedeschi continuavano a reprimere la popolazione. Con parole semplici ma vere disse che nel nostro piccolo avremmo potuto fare qualcosa e che quindi c’era bisogno del mio aiuto. Non sapevo come io, donna, potessi fare qualcosa. Egli mi spiegò il mio primo incarico come staffetta, dovevo portare un messaggio al maestro Giacomo Cappellini, mi chiese come avrei nascosto il biglietto, dapprima rimasi un po’ impacciata poi dissi che avrei scucito un lembo del soprabito e che, dopo avervi infilato il biglietto l’avrei ricucito, mi rispose che anche se era una soluzione un poco ingenua avrebbe funzionato. Nel ritorno mi fermai al passaggio a livello di Breno, alcuni repubblichini videro che dalla tasca del mio soprabito fuoriusciva un fazzolettino rosso a puntini neri. Voglio dire ai giovani come questa libertà che è costata migliaia di vite umane, enormi sacrifici alla maggioranza della gente, come sia stata difficile da conquistare e che bisogna stare attenti a non farsela scappare.
Vorrei concludere, infine, sottolineando quanto sia importante riportare testimonianze come questa, per rendere l’idea di come sia la situazione quando ogni individuo è privato dalla propria libertà, quanto diamo noi per scontata quest’ultima senza pensare che ci sono state persone che l’hanno guadagnata anche a costo della propria vita.
Si continua il percorso, nel cuore del rifugio con il malinconico sottofondo musicale, ad un tratto una ragazza recita una struggente poesia:
Non cresce più l’erba ad Auschwitz, nemmeno una spiga di grano, ma solo pioggia eterna, fredda. La ruggine dei pali, i grovigli di ferro dei recinti, lungo la pianura nordica gela la vita, gela il nostro animo al cospetto della morte. La terra sterile non coglie più i semi fecondi che porgono a piene mani. Ecco il macabro spettacolo che è innanzi ai nostri occhi inorriditi. Come può un uomo essere spogliato, deriso, marchiato. Come può una donna, essere ingannata, umiliata, sfruttata. Non cresce più un fiore in questa terra maledetta, nessuna colomba di pace sbatte le sue candide ali né si posa sugli aridi rami.
Ancora avanti fino ad un antro nella roccia dove gli attori, alternandosi, recitano brani della Preghiera del Ribelle di Teresio Olivelli.
Dio che sei verità e libertà, facili liberi e intensi; alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, rivestici della tua armatura … Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la tua vittoria; sii nell’indulgenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più si addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. … Tu che dicesti – io sono la resurrezione e la vita -, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberarci dalla tentazione degli affetti veglia sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi ti preghiamo sia in noi la pace che tu solo sai dare. Dio della pace degli eserciti, signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi, Ribelli per Amore.
Sempre al seguito dei giovani in divisa delle SS che marciano al passo, cadenzato e rumoroso che rimbomba nel rifugio passiamo ad un altro quadro.
Resistenza italiana detta anche resistenza partigiana – un insieme di movimenti politici e militari si opposero al nazifascismo. Partigiano, letteralmente anche di parte – combattente che non faceva parte di un esercito regolare, ma di un movimento di resistenza. Fiamme Verdi – le Fiamme Verdi furono formazioni partigiane il cui nome deriva dal terzo corpo d’armata durante la prima guerra mondiale operante sul fronte dell’Adamello. CLN Comitato Liberazione Nazionale – organizzava il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome. Liberazione – festa in cui si ricorda la fine del regime fascista, dell’occupazione nazista e la fine della seconda guerra mondiale.
Continua la spiegazione delle comuni definizioni.
Antisemitismo – movimento ideologico, politico, religioso, di ostilità nei confronti degli ebrei, fondato su una serie di pregiudizi. Partito nazista – partito filo politico tedesco che propugnava la superiorità razziale tedesca. Campo di concentramento – luogo in cui le persone venivano confinate a causa della loro identità, comportamento, o convinzioni. Shoah – in ebraico significa annientamento, indica lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei da parte dei nazisti.
Si prosegue verso un altro Quadro:
Lo avrai camerata Kesserling il monumento che pretendi da noi italiani, ma con che pietra si costruirà, a deciderlo tocca a noi, non con i sassi affumicati dei borghi straziati dal tuo sterminio, non con la terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità, non con la neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono, non con la primavera di queste valli che per anni ti fecero fuggire, ma soltanto col silenzio dei torturati, più duro di ogni macigno, soltanto con la roccia di questo patto giurato tra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio. Su queste strade se vorrai tornare, ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi con lo stesso impegno, Popolo serrato attorno al monumento che si chiama – Ora e sempre – Resistenza.
Il cammino continua … dal Diario di Anna Frank:
A me piaceva scrivere e soprattutto aprire il mio cuore a ogni sorta di cose, a fondo e completamente. La carta è più paziente degli uomini, proprio così, la carta è paziente e siccome non ho per niente intenzione di far leggere ad altri questo quaderno, che chiamerò diario, salvo il caso di trovare un giorno un amico, o un’amica, la faccenda non riguarda chi me. Eccomi al momento in cui prese origine l’idea di questo diario, io non ho un’amica, per essere più chiara devo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe pensare che una ragazza di 13 anni sia sola al mondo. Eppure questo è vero, ho dei cari genitori, una sorella di 16 anni, conosco tutto sommato una trentina di ragazze, alcune delle quali potreste pensare che siano mie amiche, ho un corteo di ammiratori, in classe cercano di afferrare la mia immagine con uno specchietto tascabile, ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare. No, apparentemente non mi manca nulla, salvo la vita. Con i miei conoscenti non posso far altro che chiacchierare, di parlare dei piccoli fatti quotidiani, forse questa mancanza di confidenza, è colpa mia, comunque è una realtà ed è un peccato non poterci fare nulla. Perciò questo diario, ha lo scopo di dare maggiore rilievo alla mia fantasia, all’idea che ho lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti del diario come farebbe chiunque altro, ma farò del diario la mia amica e la mia amica si chiamerà Kitty. Cara Kitty, quando viene qualcuno di fuori … vorrei ficcare sotto la testa per non pensare. Quando ci sarà di nuovo concesso di respirare un pò di aria fresca, che quando si è stata chiusa un anno e mezzo, capitano giorni che non ne puoi più. Sarò forse ingiusta e ingrata, ma i sentimenti non si possono redimere. Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiettare, guardare il mondo, sentirmi giovane, sapere che sono libera, eppure non devo farmi notare perché se tutti fossimo … a fare la faccia scontenta. A volte mi domando che non ci sia nessuno capace … Io sono soltanto una ragazzina che ha voglia di sentirsi viva e allegra. Cara Kitty, oggi non posso darti che notizie brutte i deprimenti, stanno arrestando tutti, tutti i nostri amici ebrei, la Gestapo è tutt’altro che riguardosa di questa gente, vengono trasportati in carri bestiame a Westerbork, il grande campo di concentramento per ebrei. Westerbork deve essere terribile, per centinaia di persone un solo lavatoio e pochissime latrine, fuggire è impossibile. Quasi tutti gli ospiti del campo sono riconoscibili dai loro crani rasati, molti anche dal loro aspetto ebraico. Se in Olanda stanno già così male, come staranno nelle contrade lontane, barbare dove li mandano? Supponiamo che per lo più, vengano assassinati, la radio inglese dice che li gasano, forse è il metodo più spiccio per morire, sono molto turbata! Oggi il Ghetto prova una paura diversa, stretta nella sua morsa la morte brandisce una falce di ghiaccio, un male malvagio sparge terrore nella sua scia, le vittime della sua ombra piangono e si contorcono. Oggi il battito di un cuore di padre narra del suo terrore e le madri nascondono la testa tra le mani. Adesso qui i bimbi rantolano e muoiono di tifo, il loro sudario sconta un’amara agonia, il mio cuore batte ancora nel mio petto.
Proseguiamo con passo lento, ascoltando la Canzone di Guccini “Auschwitz” verso un altro quadro.
Son morto che ero bambino, son morto con altri 100, passato per un camino ed ora sono nel vento …
Poi di nuovo:
Rudolf ed i suoi uomini avevano quindi trovato un metodo veloce ed economico per uccidere centinaia di persone tutte insieme e cosa ancora più importante un metodo che comparato ad altre forme di esecuzione teneva a distanza le guardie dalle loro vittime. Tuttavia, in quel periodo, i pestaggi non erano la principale causa di morte ad Auschwitz, infatti nel giugno del 1941, Rudolf approvò il cosiddetto programma di eutanasia in età adulta, che i dottori dei lager avevano quindi provato, ricevendo una lettera da Rudolf stesso, dovevano girare nelle baracche e indicare le guardie quali detenuti dovevano essere portati nel blocco 20 dove venivano fatti entrare uno alla volta nella sala visite. Una volta dentro il dottore faceva alla vittima una domanda sull’età, anamnesi, e poi mentre altri due detenuti ritenevano le braccia di un terzo gli bendava gli occhi, si avvicinava all’infermiere che iniettava una fiala di fenolo dritta al cuore del prigioniero che moriva all’istante.
Testimonianza di un dottore:
Nell’estate del 1941, quando personalmente Himmler mi diede l’ordine di preparare Auschwitz a diventare un sito di sterminio di massa, io non riuscivo a farmi una minima idea della portata e delle conseguenze di queste esecuzioni, naturalmente quello era un ordine mostruoso, inusuale, ma il ragionamento alla base del processo mi sembrò utile. All’epoca non ci pensai più, l’ordine era stato dato, io dovevo semplicemente eseguirlo, non potevo permettermi di chiedermi se quelle esecuzioni fossero giuste o meno”. Testimonianza di una SS … “Il Fuhrer ha ordinato che sia dato inizio alla soluzione finale del problema ebraico e noi le SS dobbiamo eseguire quest’ordine. Gli ebrei sono gli eterni nemici del popolo tedesco e devono essere spazzati via dalla faccia della terra, tutti gli ebrei sui quali potremo mettere le mani per tutta la durata di questa guerra, dovranno essere sterminati senza eccezioni. Se noi non riusciremo a distruggere le fondamenta genetiche del popolo ebraico adesso, allora gli ebrei saranno un giorno loro a distruggere il popolo tedesco.
La canzone di sottofondo che accompagna il nostro procedere è “Bella ciao”.
Voglio parlare di Luigi Ercoli e di Letizia Pedretti, due eroi di Bienno che si sono lasciati torturare pur di non tradire gli amici tenendo la bocca chiusa. La loro tragica avventura era iniziata nello stesso momento, lei era la donna di fiducia dei professori Coccoli di Brescia che aveva conosciuto in una località sui monti di Bienno, avevano tutti rapporti con i partigiani. Il 30 settembre del 1944, Letizia e Luigi erano a Brescia in casa dei professori quando vennero arrestati dalle SS tedesche. Già da un po’ di tempo si temeva per Luigi che si sapeva essere sorvegliato. Quella mattina evidentemente, qualcuno aveva fatto una soffiata molto sicura, i due Biennesi e la signora Irene, vennero arrestati e portati in Castello. Luigi raccontò la sua triste esperienza in una lettera ad un amico, pregandolo di distruggerla subito per paura che ne venissero a conoscenza i suoi parenti, Letizia ne parlò ai suoi fratelli quando riuscì a tornare a casa. Durante la prigionia cercavano sempre di tranquillizzare le famiglie che erano a conoscenza dei metodi molto efficaci con cui le SS cercavano di far parlare i loro prigionieri. Letizia Pedretti quando tornò a casa, raccontò che le SS cercarono con ogni mezzo di farla parlare, portata in una cella di isolamento veniva svegliata con un secchio di acqua gelida e veniva portata della stanza degli interrogatori senza mai avere la possibilità di cambiarsi, diceva che i dolori più atroci erano prodotti da una paletta che le veniva battuta ripetutamente sulla schiena, queste torture le avevano fatto perdere tutti i denti e lasciato dei segni sul dorso che si è portata fino alla tomba.
La lettera di Luigi all’amico:
Carissimo Beppe, ti scrivo come uno che sta per essere deportato. Mi martellavano in faccia qui al carcere poi al loro covo in viale Venezia, con lo scudiscio, mi mandarono in cella senza pane e acqua, il lunedì mi prelevarono e qui fui lasciato nella cantina del loro covo per tutto il giorno. Alla sera verso le 19:30 chiesi al milite, che di tanto in tanto passava di lì per vedere se ero ancora bocconi sulle scale, perché in piedi non potevo stare a causa delle lividure, se poteva chiedere per pietà al soldato di darmi un po’ di acqua e un po’ di pane e fui chiamato in ufficio dal padrone, le solite domande, mi martellò di nuovo il viso finché il sangue non mi uscì dal viso, gli sporcò le mani e il pavimento. Le sue sante mani certo io non potevo pulirle, ma il pavimento si perché li doveva passare lui e mettere i suoi stivali. Dovetti inghiottire il sangue, mi accorsi che era un buon dissetante. Ero schifoso in quello stato e l’addio, con relativo pedata, fu il via per il carcere e col permesso, finalmente, di mangiare quella sera. Passarono 17 giorni, isolatissimo, grande sorveglianza, 17 giorni, nemmeno una ciotola di minestra calda o un po’ di pane. Sabato 21 ottobre si ricomincia – Dove si stampa Il Ribelle? – Io, non lo so, cosa vi devo dire, non ne so nulla – i pugni sullo stomaco dopo gli scossoni, di schiaffi sulle guance appena rimessesi, andai con la schiena contro il muro il quale mi ribatteva prenderne degli altri, altre pedate, la promessa di riprendere la settimana prossima e poi, la Germania. Ora sono qui in attesa di altre riprese, vogliono la rivincita, non l’avranno! Si può anche immolarsi per iddio ma anche l’Italia viva e sia libera. Ora mi scorrono le lacrime, le prime da che sono qua, piango e non so il perché, forse è l’essere qui inattivo per quella libertà, ma se Iddio ci guarda, dovrà pur concedere: Dio, Patria, Famiglia, accompagnate da Fede, Pace, Libertà, sei cose che noi vogliamo ed avremo, costi quel che costi. Della mia sofferenza non dire a nessuno, auguri, grazie di tutto e scusa. Luigi.
E ancora:
Giacomo Mottinelli nato il 20 gennaio 1927 a Sonico. Arrestato a Sonico e deportato nel campo di concentramento di Mauthausen, immatricolato il 04 febbraio 1945, deceduto Gusen alla sola età di 18 anni. Quando sono arrivato a Mauthausen pensavo di essere all’inferno, Gusen era l’inferno dentro l’inferno. Nel campo di Gusen classificato tra i peggiori campi di concentramento, la vita di un deportato non durava più di quattro mesi, costretti a lavorare per la realizzazione di gallerie, praticamente un senza il ricambio d’aria, seviziati per ogni ordine non è eseguito o non svolto o non capito nei tempi imposti. Rifocillati con mezzo litro di brodaglia per ogni pasto, brodaglia da loro definita zuppa, un chilo di pane al giorno fatto con castagne d’India e segatura ogni 24 uomini. Estenuanti appelli all’aperto che potevano durare ore, prima di poter entrare nelle baracche con temperature che potevano arrivare a -20°, con addosso le misere divise da carcerati. Dormivamo su pagliericci larghi 80 cm sui quali dovevano prendere posto tre persone. Perché ci si ammalava l’unica cura era spesso una iniezione di benzina, oltre alle violenze fisiche erano costretti a subire violenze psicologiche costantemente minacciati dai sadici Kapò che indicavano come via d’uscita le alte ciminiere dalle quali usciva un fumo nero che giorno e notte spandevano le ceneri di questi corpi già consumati dalla fame e dalle fatiche.
Risuonano le parole di Primo Levi:
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che tornando a casa trovate cibo caldo e visi amici, considerate – se questo era un uomo – che vive nel fango, che non conosce pace, che lotta per un pezzo di pane e che muore per un si o per un no”. … “Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e fredda in ventre come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato, queste parole scolpitele nel vostro cuore. Stando in casa, andando per via, piegandovi, alzandovi, ripetetele ai vostri simili, o vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
Riprende il cammino nel cuore della montagna … Lo spettacolo riprende con la testimonianza della figlia di Lionello Levi Sandri, il comandante delle Fiamme Verdi in Mortirolo durante le due battaglie campali con le quali 220 partigiani respinsero gli attacchi delle milizie della brigata Tagliamento appoggiate dall’artiglieria tedesca, oltre 2000 uomini:
Il Mortirolo e la Vallecamonica, hanno permesso a mio padre, il capitano Sandro, di continuare ad essere un uomo libero, di combattere per la sua libertà e per la libertà e l’onore del nostro Paese. Le Fiamme Verdi nacquero innanzitutto come movimento di resistenza contro lo straniero, il tedesco che ci aveva invaso e ci voleva sottomettere e contro altri italiani, i fascisti, che ne avevano sposato la folle ideologia. Le battaglie del Mortirolo e in generale la resistenza della Vallecamonica hanno avuto un ruolo importante e delicato, da molti punti di vista. La Resistenza e la riconciliazione successiva in Europa sono state alla base dei decenni di pace che abbiamo conosciuto nel nostro continente, in un mondo ancora lacerato da molti conflitti. Sono tante le sfide che ci aspettano ancora, ma le dobbiamo affrontare con fiducia e spirito positivo. Da allora, dopo guerre e lotte, viviamo in pace nella nostra Europa, che rimane saldamente, anche nei momenti difficili come l’attuale, un faro di civiltà ed un esempio di democrazia per tutti i Paesi.
Di nuovo in cammino dietro al passo cadenzato delle due SS che ci guidano verso un altro quadro:
La Resistenza non è stata solo un fatto militare. La Resistenza è stata, in primo luogo, un fatto politico. La nostra fu innanzitutto una rivolta morale e non a caso ci qualificammo non solo partigiani, ma anche ribelli. Ribelli a un sistema che calpestava i diritti fondamentali della persona umana e si reggeva sulla forza bruta e sull’arbitrio che rinnegava ogni forma di libertà, di fronte a chi reggeva con la forza la prepotenza totalitaria, alla deportazione di massa, abbiamo voluto affermare il diritto dell’uomo alla libertà di fronte alla civiltà, alla civiltà nazista delle camere a gas e di campi di concentramento. Abbiamo voluto riaffermare l’insopprimibilità della dignità della persona di fronte alla falsità e alla menzogna erette a sistema di governo. Abbiamo voluto gridare sempre più forte il nostro desiderio di verità, per questo abbiamo combattuto. La libertà l’abbiamo conquistata, non ci è stata donata, grazie alla Resistenza sono state poste le premesse ideali e morali perché una nuova società libera, giusta e pacifica potesse sorgere sulle rovine di quella che andava miseramente scomparendo.
“… La notte scorsa sono rimasta sveglia a pensare come dovrebbe essere la fine della mia storia, nel giro di trent’anni non ci saranno più sopravvissuti all’Olocausto, perciò questo dovrà essere un pensiero da leggere e meditare molto dopo che sarò morta, che rimanga scioccato ed attonito al pensiero che un tempo il mondo è stato così. Perseguitare le persone perché sono ebree, neri, zingari, musulmani, omosessuali, appare ridicolo e oltraggioso come il commercio di schiavi ci appare oggi. Mi fa sorridere quando sento le persone parlare degli interminabili conflitti che imperversano in altre parti del mondo, come in Africa, paragonato al nostro modo civile di fare in Europa. Posso assicurare che non troppo tempo fa, l’Europa non era affatto civile! Perciò servirebbero sempre più monumenti e giornate della commemorazione, ma la vita procede solo in avanti ed io sono sempre stata una persona molto attiva, la vita va avanti!.
Ancora uno struggente sottofondo musicale, poi gli attori, ora alternandosi, ora recitando a più voci, si ricompattano e completano l’ultimo quadro della rappresentazione:
L’ebreo pregò con il suo rabbino per non dimenticare quel lungo cammino che lo ha portato fin qua … Tra odio e violenza … La bestia umana non sa quando la pace verrà … Figlio ti perderai nei campi di sterminio della vita, nella tragedia infinita che ti prende e ti da … Il Padre Cristiano, il Monaco Buddista, scrissero a piè di lista una bella canzone … ballate, ti perderai nelle danze di fuoco della vita, nella favola infinita che ti prende e ti da. E l’agnostico disse – ti ringrazio vita mia per provare vergogna, ogni volta che vedo un bambino con il viso coperto di mosche che stanno immobili come figure losche e una madre sfinita che non ce la fa più, nemmeno ad alzare la mano e a cacciarle via ed un vecchio solo senza compagnia, questo mi addolora e fin che provo vergogna, finché sento la gogna di queste ferite, sono ancora un uomo. Figlio ti perderai e cercherai il fondo della vita, nella commedia infinita che ti prende e ti da. Perciò bambino mio ascolta il dolore del mondo, perché il dolore è in te, ti piegherà le gambe e ti spezzerà il cuore e non avrai più fiato non avrai più parole, anche se sarai Re.
Il bellissimo e suggestivo spettacolo termina. Si apre una porta, scatta un lunghissimo applauso e … “uscimmo fuori a riveder le stelle”.
(Registrazione e trascrizione a cura di Luigi Mastaglia)