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Altare dei “Ribelli per Amore” – caratteristiche

 

L’opera, intagliata in un legno massiccio di colore ambrato dall’aroma intenso e resinoso, è pensata come una grande metafora della Chiesa, rappresentata in forma di nave.

I tre pezzi ad incastro che costituiscono il basamento – due verticali che sorreggono la sagoma trapezoidale rovesciata simboleggiante la chiglia – mostrano i principali temi dell’opera: due steli verticali fioriti – il grano che genera il pane, offerto sulla mensa per il Santo Sacrificio – dividono in tre scene la raffigurazione frontale, originariamente ispirata alla vicenda umana e cristiana di don Giovanni Battista Picelli, sacerdote di Malonno trucidato a Zazza dai fascisti il 20 maggio 1944: nel paliotto centrale vi è la figura della madre addolorata che abbraccia il giovane sacerdote, ormai esangue, sotto la protezione di un ombrello; nei lati di destra e di sinistra volti sofferenti di famigliari e amici del giovane curato malonnese, assiduo nella cura d’anime e nel sostegno morale e spirituale ai tanti giovani partigiani, i “ribelli per amore”, come li chiama Teresio Olivelli nella Preghiera del Ribelle.

Per la loro singolare evocatività, i volti sofferenti della madre e del giovane caduto richiamano il tema – caro all’iconografia tradizionale cristiana – della Pietà, nel quale Maria, Madre di Gesù, abbraccia, piangendo, il corpo esanime del Figlio deposto dalla Croce. Una scena di sofferenza condivisa, di cum-patire e cum-dolere, che unifica in un solo evento emotivo il sacrificio doloroso e crudele della morte e del dolore per la perdita del figlio – tanto familiare, purtroppo, a moltissimi episodi di guerra – con quello della gratitudine per il sacrificio più alto, il dono della vita per gli altri: perché, come ci insegna il Vangelo «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Sul massiccio piano orizzontale della mensa, invece, sono intagliati volti di donne e di uomini: essi ricordano i tanti caduti partigiani, che sacrificarono la vita sui monti nell’anelito di speranza di una vita più giusta, più umana, più cristianamente fraterna; il loro volto scruta il cielo ed osserva il celebrante, che officia il rito poggiando le Sacre Specie sul loro viso, così come la nostra libertà poggia da settant’anni sul loro dono nell’estremo sacrificio di sé.

Ciascuno dei volti scolpiti volge lo sguardo al centro della mensa, dove una semplice schiera di raggi segnala il luogo da cui germina una grande croce fiorita, che richiama alla memoria la profezia di Isaia (Is 11, 1-5): «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà.»

La grande croce protende i suoi lunghissimi bracci in tortuosi florilegi, e attira abbracciando lo sguardo di tutti i volti scolpiti sulla mensa, unendoli a quelli dei fedeli raccolti in preghiera sotto la protezione del Cristo Crocifisso e Risorto.

Sul lato sinistro di chi guarda, un’ancora simboleggia la saldezza della Chiesa, ancorata alla parola salvifica del Cristo Redentore; un rosario, in luogo della catena, la unisce a quanti sono raffigurati nella scultura sacra, e invita alla preghiera di suffragio e di rendimento di grazie per il sacrificio di tanto sangue innocente versato.

Non possono non tornare alla mente le parole della Preghiera del Ribelle: «Se cadremo, fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e carità. Tu che dicesti: “Io sono la resurrezione e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.» Quel vento che scuote i monti, qui evocato dal movimento tòrtile e sinuoso della Croce, che accompagnò il cammino di uomini e donne delle gloriose montagne camune, là dove – sulle Cime del Mortirolo come in ogni luogo in cui sia stata combattuta una battaglia per la Liberazione – «arse la lotta, ma trionfò il perdono», è anche il vento dello Spirito che, sotto la grande croce che abbraccia l’umanità, dispensa la consolazione del Paràclito.

Preghiamo: O Signore, ti siamo grati per il dono dell’ispirazione che hai suggerito, nella preghiera, all’autore di questa straordinaria opera d’arte; tu, che per bocca dell’evangelista Matteo (Mt 5, 6.9-10) ci hai assicurato che di fronte a Dio sono «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati; beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio; beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli», concedi anche a noi, che celebriamo su questo altare i Santi Misteri, di godere, un giorno, della tua presenza, vivendo saldi nell’esempio eroico di quanti, con generosità e senza tornaconto, a rischio della propria vita, hanno donato se stessi perché noi avessimo la Vita, e in essa la Giustizia e la Libertà. Amen.