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A Barbaine, ricordando i Caduti della “Perlasca”

Domenica 11 ottobre 2020, nonostante il maltempo e la problematica situazione della pandemia da Covid-19 si è svolta – in forma ridotta e con la partecipazione di delegazioni istituzionali, associative e familiari – la cerimonia di commemorazione dei trentuno caduti della Brigata “Giacomo Perlasca” delle Fiamme Verdi.

Qui di seguito l’intervento dell’oratore ufficiale, Roberto Tagliani, vicepresidente nazionale della FIVL, e alcune immagini della cerimonia.

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Autorità, Delegazioni, Amiche e Amici,

è particolarmente difficile prendere la parola qui, oggi.

Difficile, perché il nostro ricordo dei Caduti della Brigata “Giacomo Perlasca” delle Fiamme Verdi si svolge in un anno terribile, contrassegnato dalla pandemia da Covid-19: un tempo infausto, che ha visto scomparire, uno alla volta, molti testimoni delle generazioni più anziane del nostro paese e dei nostri territori; uomini e donne che avevano vissuto gli orrori della guerra e che avevano contribuito, giovani e meno giovani, alla rinascita dell’Italia dalle macerie in cui il nazifascismo l’aveva gettata.

In questo 2020 cade un anniversario importante, il settantacinquesimo della Liberazione, che abbiamo ricordato nella scorsa primavera in modo inconsueto, contingentato, telematico, delegato. Abbiamo fatto il possibile, ma ci è mancata la partecipazione emotiva e umana, con la sua corporeità fatta di sfilate e di festeggiamenti, di abbracci e di sguardi, di strette di mano e di risate, di parole e di canti.

Anche questa cerimonia si è trasformata, modificando consuetudini consolidate, riducendo e limitando al massimo le possibili occasioni di assembramento.

Ma, a ben vedere, non è un male che la grande tragedia che ha colpito e sta continuando a colpire il nostro paese, l’Europa, il mondo intero – che ha già fatto più di un milione di morti – ci costringa a fermarci, per riflettere e ripensare anche queste nostre azioni memoriali.

Vedete, amici, anche la celebrazione della memoria, se cade nella ritualità, rischia di diventare ripetitiva, formale, esteriore, perfino annoiata e insincera. Questa pausa drammatica e forzata ci obbliga, invece, a ripensare non solo le forme, ma anche i contenuti del nostro “fare memoria”. Ci impone di essere essenziali, fedeli ma concreti. Ci spinge a riscoprire le ragioni profonde del nostro re-cordare (cioè l’azione di ‘riportare nel cuore’, come dicevano i latini, per i quali il cuore era la sede della memoria e non solo dell’amore).

Chi è qui oggi – di persona o in spirito – ricorda per prima cosa quei trentuno ragazzi che i cippi di pietra qui, alle mie spalle, chiamano per nome, morti su queste montagne durante la guerra di Liberazione. Li ricorda, li onora e li addita come modelli.

Insieme a loro ricorda i tanti volti che, anno dopo anno, ciascuno di noi ha visto salire a questo sacrario, per accompagnarci e insegnarci a ricordare. Non voglio far torto a nessuno e li riunisco in un unico, affettuoso ricordo: ciascuno di noi ha in mente un volto, un gesto, un sorriso, uno sguardo di quei grandi che, anche se sono “andati avanti”, come dicono gli Alpini, non mancano mai di unirsi a noi qui, ogni seconda domenica di ottobre; il loro spirito aleggia e rincuora tutti noi, in mille aneddoti e in altrettanti ricordi personali che si uniscono in un unico, tenero ricordo.

In quel ricordo riscopriamo un sentimento, che forse, con il tempo, abbiamo lasciato addormentare: la fraternità.

Anche papa Francesco, con la sua enciclica “Fratelli tutti”, uscita proprio pochi giorni fa, ci richiama all’importanza della fraternità: fraternità come valore personale ma anche come costume e preoccupazione morale, sociale e politica.

Fin dagli esordi dell’era moderna, iniziata con la Rivoluzione francese, i valori di libertà, uguaglianza e fraternità erano stati indicati come i pilastri su cui edificare la nuova società. Tra Otto e Novecento, la libertà è diventata l’obiettivo principale della tradizione liberale e poi liberaldemocratica; l’uguaglianza è divenuta il baluardo dapprima della tradizione socialista, poi di quella comunista e di quella socialdemocratica; la fraternità, invece, è rimasta un po’ orfana, non ha avuto grandi sostenitori tra i politici, è passata in secondo piano nello slancio delle moderne ideologie. Ma è invece rimasta un elemento centrale del pensiero cristiano, e bene ha fatto papa Francesco a ricordarcelo, in questo momento di crisi: la fraternità è ‘IL’ valore da riscoprire, è ‘LA’ scommessa – anche politica – da vincere nell’era del dopo-pandemia.

Su quella saremo giudicati: “Dov’è tuo fratello?” Ci ammonisce il Genesi (Gn 4, 1).

Per quanti credono, a questa domanda dovremo rispondere nel Giorno del Giudizio.

Ma l’esercizio della fraternità dev’essere un imperativo morale per tutti, non solo per chi crede. Tutti dobbiamo sentirci responsabili per i nostri fratelli, soprattutto di quelli più fragili, più deboli, più indifesi. Così ci hanno insegnato i nostri partigiani, che nei gruppi vivevano concretamente la fraternità, la condivisione del poco, l’amore fraterno che permette di riconoscersi umani, portatori di una dignità che non si misura in lire, in euro o in dollari, ma con la capacità di condividere e di donarsi.

Come si fa a perseguire la faticosa via della fraternità?

Uno dei modi che mi sento di suggerire – prima di tutto a me stesso – e di condividere con voi, è quello di dare retta a un motto che un grande uomo e grande prete valsabbino, che tutti noi abbiamo conosciuto e che ricordiamo con grande affetto – don Riccardo Vecchia – era solito ripetere.

Ci diceva don Riccardo: “Sö de lèna!”, cioè ‘Avanti con impegno!’.

Non era l’esortazione ad avanzare a testa bassa, come fanno le pecore o i buoi, che si muovono inconsapevoli e con velocità diverse verso una direzione indicata da altri: era, piuttosto, la spinta a impegnarci, a fare del proprio meglio per trasformare la nostra società in un posto migliore, più accogliente, più giusto, seguendo i valori che ci hanno insegnato e consegnato i nostri partigiani, primo fra tutti la fraternità. Anche a costo di delusioni, di fallimenti, di raccolti scarsi.

Mai disperare – ci dice quel motto – e impegnarsi sempre nella direzione giusta. È il messaggio con cui oggi torno a casa, dopo essere salito quassù. Mi auguro che, anche per voi, possa essere un messaggio da raccogliere e condividere, fraternamente.