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Federazione Italiana Volontari della Libertà

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UNA STELE SCOLPITA NEL LEGNO PER RICORDARE LE VITTIME DEL COVID-19

Domenica 6 settembre 2020, in occasione della cerimonia “Fiamme Verdi in Mortirolo”, tramessa in diretta televisiva su Teletutto a partire dalle 10:30, sarà inaugurata e mostrata al pubblico per la prima volta la stele in ricordo delle vittime del Covid-19, scolpita nei giorni più difficili del lockdown dall’artista camuno Mauro Bernardi e donata all’Associazione Fiamme Verdi in occasione del 75° ricordo dei Caduti per la Libertà davanti alla chiesa di San Giacomo in Mortirolo.

L’artista – che nel 2014 aveva realizzato e donato alle Fiamme Verdi l’Altare dei Ribelli per Amore, sul quale ogni anno, la prima domenica di settembre, viene celebrata la Santa Messa a ricordo di tutti i Caduti per la Libertà – ha così voluto condividere con l’Associazione Fiamme Verdi il richiamo ai molti legami che emergono naturalmente tra la memoria dell’esperienza terribile della prova e del dolore che le nostre comunità hanno vissuto negli scorsi mesi e il ricordo del sacrificio delle vite di tanti generosi che hanno donato la Libertà all’Italia settantacinque anni or sono; riflessioni che hanno accompagnato il cammino dell’Associazione in tutto quest’anno, che ricorda il 75° Anniversario della Liberazione.

Unire al ricordo affettuoso e riconoscente di quanti hanno sacrificato la vita per donare ai fratelli la Libertà e la Pace quello dei tanti fratelli e sorelle colpiti dalla pandemia nello scorso marzo è ritrovare, attraverso la memoria di quelle sofferenze, il senso vero e profondo della gratuità del dono, dell’unicità del sacrificio, della centralità della testimonianza e dell’impegno, della necessità del rendimento di grazie. La stele, di grande impatto simbolico ed emotivo, invita alla riflessione, ammonisce all’ascolto del cuore, spinge a ritrovare in tutti e ciascuno il senso pieno dell’umana fraternità.

LA STELE

La stele scolpita da Mauro Bernardi
La stele scolpita da Mauro Bernardi

Alta circa 2,5 metri e scolpita nel legno di cedro del Libano, la stele raffigura la fragilità dell’uomo e del suo corpo mortale, soggetto all’indebolimento e alla malattia, osservata nel dialogo tra l’immanente e il trascendente.

Nella parte inferiore, una selva di mani stilizzate si avviluppano: alcune chiedono aiuto, altre offrono il sostegno ai volti di quanti, poco sopra, mostrano i segni tangibili della sofferenza e del dolore: visi lucidi, feriti, tumefatti, abbracciati e accolti dalle mani – quelle dei medici e degli infermieri, che hanno sostituito quelle dei familiari e degli amici nel tragico momento del distacco durante quei mesi terribili, nei quali anche la pietà per i morenti è stata negata  – che li circondano, li sostengono, li stringono a sé.

In questo intreccio di mani e di volti, nascosta ma presente, s’intravvede l’immagine stilizzata di una colomba: è il segno dello Spirito Santo, che agisce ‘nelle’ mani e ‘con’ le mani dell’uomo, sotto lo sguardo sofferente e consolatore del Cristo, «uomo dei dolori che ben conosce il patire» (Is. 53, 3), al centro della stele. Il Cristo guarda verso l’osservatore, quasi a testimoniare che Lui è la porta, la chiave, il passaggio della narrazione della Storia umana; in Lui è il senso, la via, la risoluzione e la ricapitolazione di tutto il dolore che lì è rappresentato. Accanto, sul lato sinistro della scena, il volto dolce e dolente della Madre, che osserva la sofferenza del Figlio mentre una lacrima scava le sue guance: è il pianto di Maria sotto la croce, che condivide la sofferenza di tutto il genere umano: Maria ‘cum-patisce’, soffre insieme a noi, donando la consolazione che passa attraverso la condivisione del dolore.

In alto, là dove la stele si fa più stretta, ci sono i volti di quelli che sono “andati avanti”, che hanno chiuso i loro occhi alla vita ma che non sono perduti, annientati o sconfitti: dopo il loro sacrificio innocente, sono accolti nel Paradiso – simboleggiato dai raggi della Luce del Padre, che entrano dalla sommità della stele – e guardano verso il basso, verso di noi che siamo ancora nel mondo, sofferenti e con le mani sollevate, in cerca di aiuto: dall’alto ci indicano il cammino per una vita di semplicità, di attenzione verso l’altro e verso le cose che contano davvero: l’amore, la fraternità, l’aiuto a chi è in difficoltà.

In questo Paradiso, i volti si sciolgono e si fondono tra loro, simbolo dell’incorporeità dell’anima che attende la Risurrezione; ma è una fusione che già partecipa del senso profondo del divino: infatti, anche il volto del Christus patiens, al centro della scena, è privo confini netti e delineati, e si fonde con le scene nelle due direzioni. Verso il basso, si unisce alla sofferenza del quotidiano che lotta contro il male: ed ecco che l’occhio di un malato si trasforma nelle labbra del Cristo, che sembra ricordare le parole di Gn 4,9: «Dov’è tuo fratello?»); verso l’alto, si associa alla serenità ieratica dei volti paradisiaci.

Così, il volto di Cristo diventa la porta tra le due scene: quella del dolore, nella parte bassa, e quella della tranquillità paradisiaca, nella parte alta: attraverso di lui il dolore e la prova acquisiscono nuovo significato, valore e prospettiva.

Roberto Tagliani